giovedì

Casa editrice: 

Lepisma

Data di pubblicazione: 

01/2008

                                               PREFAZIONE
 
 
Sarebbe molto interessante compilare un elenco dei poeti e dei letterati che per vivere hanno fatto gli impiegati postali. I più noti di tutti sono senza dubbio Pierangelo Baratono, amico di Montale, e Renzo Barsacchi, autore de Le scarpe del Papa. Io ho sempre pensato che stare a contatto con la corrispondenza, con pacchi, lettere, cartoline e telegrammi accende la fantasia, mette in moto il senso del viaggio. Infatti anche molti ferrovieri e figli di ferrovieri (per esempio Quasimodo e Luzi) danno l’idea che il treno sia un altro elemento che ha contribuito a lievitare sogni e avventure.
Ciro Cianni è impiegato postale, di quelli che hanno sempre il sorriso pronto, di quelli che non si adirano allo sportello e anzi fanno di tutto per accontentare la gente, anche quella irascibile, scostumata, arrogante. L’ho conosciuto proprio a un ufficio postale vicino casa mia, ma per lungo tempo, pur sapendo  che mi occupavo a tempo pieno di letteratura, non ha fatto mai cenno alla sua attività di pittore e poeta. Egli si riconosce uno dei tanti, uomo tra gli uomini, come dice Umberto Saba, ed è convinto che non bisogna forzare la mano per diventare amici, ma aspettare che tutto accada naturalmente.
E così è stato. A un certo punto Ciro mi ha fatto leggere alcuni suoi versi e vedere alcuni collages. Subito sono stato colpito dalla loro freschezza espressiva, dal tocco lieve musicale, dalle immagini che restano serrate nel recinto dell’essenzialità. Subito dopo è nato un libro: alba e ritorni…, organizzato a quattro mani con Fabrizio Pepe. E’ un volume molto ben fatto in cui le immagini si rispecchiano nelle parole e viceversa. Nella Prefazione Giuseppe Mannino dice tra l’altro: “Non si tratta di poesia visiva, ma di poesia che tenta l’amalgama tra segno e suono e intende varcare la soglia estetica per entrare nella fenomenologia morale, con la consapevolezza del limite di ogni singola materia espressiva senza il contenitore. In alba e ritorni… la forma, il colore, le immagini sono il contenitore; le parole, i pensieri, le idee sono il contenuto…”.
In questo libro però Ciro prende una strada diversa, punta sulla essenzialità della parola, sulla forza dei significati e dei significanti ridotti al minimo per poter meglio coagulare il Divino. E questa esigenza nasce da un dato strettamente personale, la morte dello zio Gigi, sacerdote sommamente pio e di grande rigore spirituale, anima candida che sapeva tessere le lodi a Dio attraverso le azioni, oltre che per mezzo della preghiera e dell’insegnamento morale. Zio Gigi è morto di Giovedì, un giorno apparentemente come tanti, se non fossero accadute molte cose, sempre di Giovedì. Per esempio, Ciro conosce di Giovedì l’altra metà del suo cuore… Avvenimenti che si colorano di una patina evangelica e fanno tornare in mente i riti del Giovedì Santo, quel senso mistico che avvolge ogni credente al momento del Battesimo. Come intitolare quindi il nuovo libro se non Giovedì?
Certo, questa volta si tratta di un giorno in cui avviene il supremo viaggio dello zio, ma anche in questo caso potremmo parlare di Battesimo ultimo, di approdo al Paradiso proprio nel giorno sempre presente nella realtà del poeta.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio apre alla lettura del libro, ed è il filo esile di questa promessa che attraversa ogni pagina e la irrora di mestizia e di gioia, di un rinnovato senso di grazia. Grazia divina e grazia di dettato. Infatti non troviamo mai una sbavatura, mai un eccesso, mai lo strafare di aggettivazione o la sovrabbondanza che spesso  copre la bellezza e copre il mistero della semplicità.
Ciro Cianni porta dentro le sue brevi pagine la tenerezza e la soavità del suo carattere, ma anche la sua fede incontaminata, starei per dire la sua ingenuità. Si sente che non è mai stato intaccato dal torbido, che ancora crede nella dolcezza di un mondo promesso,  che non si arrenderà mai alla confusione, alla cattiveria, ai soprusi. Se avesse anche la forza organizzativa di Giulio Gianelli avremmo addirittura un Ciro capace di farsi apostolo di organizzazioni umanitarie di cui c’è tanto bisogno.
Non ho alcun dubbio che a plasmarlo sia stato l’insegnamento dello zio, ma hanno contribuito anche altri fattori, e primo fra tutti il desiderio di giustizia che egli esprime senza vergognarsi di nulla, affrontando, se occorre, anche il dileggio da parte di chi non comprende, in questi tempi di arroganza e di sporcizia, il raggio di sole che lo illumina.
Da sempre ci sono stati poeti che si sono ispirati alla parola di Dio, per ricordare soltanto qualche nome recente, Clemente Rebora, David Maria Turoldo, Valerio Volpini, Angelo Mundula, Giovanni Occhipinti, Eugenio Nastasi, Pio Vigo, Luigi Renzi, ma da circa un decennio la poesia italiana ha trovato massicciamente la strada del Vangelo. Sono una miriade i poeti che si ispirano alle sacre scritture. Alcuni lo fanno per moda, tentando di riadottare, senza riuscirci,  la straordinaria lezione dell’estrema semplicità di Giovanni o di Luca, come Alda Merini. Altri per confessarsi con se stessi in accenti davvero coinvolgenti, come hanno fatto Mario Luzi e Giovanni Raboni. Altri ancora ripercorrendo la strada del Golgota in sintonia con Cristo. Insomma, i poeti che oggi affrontano tematiche delicate e così scottanti sono davvero tanti, ma pochi si distinguono per la loro personalità e per il rigore, per esempio Maria Rita Bozzetti, Paolo Butti, Marco Beck, Luciano Luisi, Paolo Corradini. Qual è stata la spinta verso una insistenza così diffusa? La poesia religiosa presenta molte insidie, dunque? Lasciamo in sospeso la domanda e registriamo che anche poeti del calibro di Mario Specchio hanno sentito la necessità di dedicare versi impareggiabili alla Madonna. Specchio, che ha tradotto magistralmente e con raffinata sensibilità la Vita di Maria di Rilke, non si è accontentato di aver dato voce e spirito nuovo a un gigante della poesia, è stato travolto anche lui e ha scritto dei testi che hanno semplicemente del meraviglioso. Dunque, ripeto la domanda, da dove viene questo bisogno? Bisogno così cocente che anche un poeta come Ciro Cianni,  che non ha tempo di seguire gli eventi, l’uscita dei tanti libri, si è imbarcato in questa avventura. Ma lui non affronta nessuna tematica teologica, si abbandona all’incanto della dipartita verso la Luce Divina e  segue un suo percorso ideale che accompagna zio Gigi nei colori mescolati dal cielo, nella favola delle mani che “stringono olio/ cielo, terra e fuoco”.
Io so che alcuni scettici, nel prendere nelle mani questo libro resteranno perplessi. Ci si aspetta dai poeti il roboante tuono , la valanga. E invece abbiamo le nugellae, ciò che resta di lunghi discorsi, di preghiere calorose, di meditazioni, di osservazioni, di forti emozioni.
Il libro nasce dall’esigenza di far “rivivere” zio Gigi, di riportarlo nel circuito della sua umanità, di reinserirlo accanto a noi e  offrirgli la serenità degli incontri. Non è casuale che l’apertura sia fatta con parole del Vangelo  e che lo stesso avvenga per la chiusura, come non è casuale che all’amore per lo zio Gigi in qualche modo sostituisca un altro amore, con valenze diverse, con trasporto diverso, con diversa accezione.
Ma adesso andiamo a vedere dal punto di vista letterario quali sono le fonti consapevoli o inconsapevoli di Ciro Cianni. Probabilmente il mondo orientale, ma anche il magistero di Machado. Le coplas di quest’ultimo hanno tratti così tersi e così vigorosi che sembrano stilettate, così come sembrano stilettate certi stupori di Ciro: “…cuori / scarabocchiano/ al cielo/ occhi innocenti/ disegnando futuro”. Non c’è tuttavia nessun vezzo dell’haiku. Ciro non rispetta la metrica giapponese, ma ne sente il fascino. In lui c’è piuttosto l’incanto di suoni che arrivano da lontano ad affascinarlo e a portarlo nel recinto di un villaggio in cui i rintocchi delle campane sono comunioni ancestrali e mistiche.
La ingenuità a cui accennavo diventa  in Ciro un’arma convincente. Si legga colorando: “… ma le finestre / del paradiso / hanno le tende?”. Ecco la misura di chi non ama le sovrastrutture, i grovigli delle sensazioni, le complicate maniere di affrontare i doni della bellezza e della fede.
Chi avrebbe il coraggio di scrivere una poesia intitolata tempo/spazio dicendo semplicemente “sono stanco?”. La dimensione dell’Universo qui diventa un rapporto davvero eccezionale e la parola si fa luce che raccoglie e rifrange il senso delle cose.
Ciro Cianni ha saputo organizzare, con pochi rapidi tocchi, un mondo che si dissolve nella morte dello zio e che ritrova la sua scia in altre occasioni; ha saputo darci in gocce il rimpianto l’amore per un uomo di fede, ma anche la totalità del suo passo silenzioso e mai oscuro. E lo ha fatto senza scorie, senza sciupio di sillabe, fedele al detto di Tolstoi, che ripete una convinzione di Seneca, di Montaigne, di Pascal e di Voltaire: chi adopera troppe parole per raccontare un fatto, per darci una immagine o una sensazione e poteva adoperarne di meno, è capace di qualsiasi delitto. Ciro non spreca le parole, ecco perché i suoi versi diventano sussurri di preghiera mentre “il tempo /prende appunti / sull’amore”.
 
                                                                                                                                                                                                             Dante Maffìa

Poesie:

fiori di campo

 
                         …in un abbraccio
                                        l’amore rapì
                                         i tuoi occhi,
                                        li affidò al mondo
                                       chiamandoli… poesia.

bianco su nero

 
                                      stanche si chiudono
                                        le ultime pagine
                                            fra ombre
                                             di torri ed alfieri.
                                          Tace la danza
                                     di quell’uomo a cavallo.
                                            Scacco.

trasparenze

                                                                      occhi svenduti
                                                       alla tranquillità del tempo.                                                  

grandi amori

                                                     si cambia a volte
                                              ma non chiedetemi
                                            per che cosa.

viali

                                                   alberi gialli
                                            in una tasca
                                                       del pigiama
                                                     mentre mi perdo
                           in un cassetto
                                                 a piedi nudi.

vento

                                                dietro l’improvviso
                                                 ho nascosto tre chiodi
                                                  ed alcuni vasi d’olio…